Rendersi conto di non possedere le risposte alle domande che vengono poste su un argomento controverso come gli organismi geneticamente modificati (OGM), spinge gli intervistati a mettere in discussione le proprie credenze più di quanto lo faccia assistere a lezioni frontali in cui vengono presentate informazioni sull’argomento.

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Non possiamo prestare attenzione a tutto; il nostro cervello non ne avrebbe la capacità. Ma dal momento che, nel corso dell’evoluzione, più di una volta sarà capitato ai nostri antenati di dover comunque prendere una decisione, pur non avendo tutte le informazioni necessarie (o non avendo il tempo di elaborarle), si sono sviluppate nei nostri meccanismi cerebrali alcune scorciatoie. Se si è inseguiti da un predatore non è molto funzionale alla sopravvivenza fermarsi a decidere se è meglio aggirare un albero passando da destra o da sinistra. Dal momento che il meccanismo con cui un individuo prendeva una decisione “a lume di naso” veniva trasmesso ai discendenti se l’individuo sopravviveva ed arrivava a riprodursi, è stato sufficiente che le scorciatoie mentali funzionassero più volte di quelle in cui fallivano, anche di poco, perché finissero per diventare il modo di pensare comune di tutti.

Non viviamo più nella savana africana, ma l’abitudine alle scorciatoie è così radicata che spesso finiamo per usarle ancora oggi quando dobbiamo farci un’idea, anche per importanti decisioni politiche e sociali riguardanti il futuro nostro, delle nostre società o dei nostri figli. Spesso questo porta a una larga diffusione di idee che sembrano del tutto assurde e insensate per chi in quel campo ha sviluppato una vera competenza.

Spesso, soprattutto fra persone con una solida competenza scientifica, può sembrare ovvio che la semplice soluzione a queste storture è fornire al pubblico maggiori informazioni sull’argomento trattato; il cosiddetto deficit model. Ma purtroppo le scienze sociali hanno dimostrato che questo approccio è destinato all’insuccesso. I motivi possono essere che a nessuno piace rendersi conto di essersi sbagliato, oppure che molte persone hanno un sistema di valori e credenze che le portano a considerare non credibili quelli proposti come esperti, o ancora la paura che accettare un concetto differente da quello praticato dalla maggioranza del proprio gruppo sociale porti a un’esclusione. Ma molte ricerche psicologiche e sociali hanno dimostrato che fornire informazioni esaustive e accurate può non sortire effetti sull’opinione relativa a un argomento, arrivando addirittura in alcuni casi a rafforzare, nei destinatari delle informazioni, l’idea ritenuta sbagliata da chi le ha loro fornite.

Quello del deficit model e della incapacità delle informazioni scientifiche di cambiare la percezione degli argomenti è da molti anni un cruccio che tormenta chi si occupa di politiche pubbliche sulla ricerca scientifica e sanitaria.

Ma ora si può forse vedere un piccolo barlume di luce, se si tiene conto dell’osservazione ottenuta, quasi per caso, da Brandon R. McFadden, Jayson L. Lusk, dei dipartimenti di economia delle risorse alimentari presso le università della Florida e dell’Oklahoma, e pubblicata sulla rivista Federazione delle società americane per la biologia sperimentale rivista.

La ricerca aveva lo scopo di stabilire le conoscenze dei consumatori statunitensi relative a vari aspetti della produzione e della vendita di cibi ricavati da organismi OGM ed ha prodotto risultati abbastanza sconfortanti: il 49% dei 1000 intervistati ritioene che il geni del mais non siano mai cambiati nei vari millenni della sua coltivazione, fino all’invezione delle tecnologie per produrre OGM; iol 33% è convinto che i pomodori OGM non contengano geni; il 32% pensa che frutta e verdura “naturali” non contengano DNA. I soggetti hanno inoltre mostrato idee altrettanto confuse relativamente a quali siano le specie di piante per cui esistono varietà geneticamente modificate e relativamente a quali vantaggi ottengono i coltivatori dal loro utilizzo.

Tuttavia i ricercatori si sono accorti che alla domanda su quanto ritenessero di essere informati sull’argomento, il numero di soggetti che si riteneva molto, o abbastanza, informato diminuiva sensibilmente dopo aver risposto alla batteria di domande che i ricercatori avevano loro somministrato, rispetto a quanto avveniva prima dei quesiti.

Un altro dato interessante riguarda il fatto che solo il 35% dei soggetti ha risposto che i politici dovrebbero basare le loro iniziative in materia di OGM solo sull’opinione dell’elettorato; l’8% ritiene che le decisioni possano essere prese tramite referendum, mentre ben il 54% ritiene che le decisioni debbano spettare, almeno in prima istanza, a un organismo tecnico dello stato (La food and drug administration nel caso degli intervistati statunitensi).

Si può quindi concludere che la conoscenza in materia di OGM, così come su altri temi scentifici controversi, è scarsa nella popolazione; ma che anche l’attitudine demagogica di certa politica a inseguire i sondaggi a caccia di voti, anziché pensare a cosa serve davvero agli elettori, finisce per gonfiare il problema.

BIBLIOGRAFIA

McFadden BR, Lusk JL. 
Quello che i consumatori non sanno sui prodotti geneticamente modificati food, and how that affects beliefs. 
FASEB J. 2016 May 19. pii: fj.201600598. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 27199295.