Il regno dei vegetali in natura è un caleidoscopio di ibridi, innesti e rimescolamenti genici da far impallidire il mito greco delle chimere. Il granturco (Zea mays), però, fra tutte le piante ci tiene a mettersi in mostra come campione di esibizionismo genetico.

Le pannocchie che troviamo al supermercato sono solitamente belle gialle canarino, oppure più tendenti all’arancio o al dorato, comunque su quelle tonalità. Ad alcuni di voi però forse sarà capitato di scovare anche qualche pannocchia “alternativa”, marrone per esempio, o carbone, oppure dai colori giallo, marroncino e bruno alternati:

United Colours of Zea Mays. Queste pannocchie provengono dal Perù.

Queste pannocchie provengono dal Perù.

 

Contrariamente al credo comune, il mais non è in maniera standard “giallo”. D’altronde, nemmeno i pomodori sono solo rossi [1] o le carote solo arancioni [2]. Il mais però, come vedremo fra poco, esagera un poco e sa andare molto oltre nelle colorazioni.

Qui in Italia intanto si coltivano per esempio le varietà Biancoperla e l’Ottofile di Antignano:

Agente K a rapporto. Non fate domande di cui non volete sapere la risposta.

Questo spilungone invece è l'agente J. Ha problemi con le bambine bianche di otto anni nel cuore del ghetto che vagano sorridenti tra un mucchio di mostri di notte con dei libri sulla fisica quantistica.

 

Ogni chicco di mais consiste in un piccolo “frutto”, chiamato dai botanici cariosside, che una volta giunto a maturazione non si apre per dischiudere il suo unico grosso e duro seme, chiamato germe (o embrione). I due sono fusi in modo che è difficile concepirli separatamente. Ogni “frutto” proviene da un singolo ovario e sempre come ci insegnano i botanici è costituito, semplificando, da tre strati principali: il pericarpo che ricopre l’intera cariosside; l’endosperma all’interno dove si accumulano amido e proteine; infine il germe nel cuore del chicco, per l’appunto.

Il colore del chicco è dovuto dalla presenza di pigmenti che si accumulano soprattutto nella parte interna, ma in una certa quantità anche nel sottile strato esterno.

Quando vediamo delle pannocchie con colori che virano dal giallo sabbia al bronzeo o all’arancio/rossiccio, ciò è dovuto principalmente ad una tipologia di pigmenti nota come carotenoidi [3], di cui un esponente molto diffuso nel mais è una simpatica molecola chiamata zeaxantina [4].

mais

Esistono anche altri pigmenti, come le antocianine (che danno tonalità dal rosa al porpora al violetto) o i flobafeni (che sono sul rosso e sul magenta).

Se ricordate le precedenti puntate della nostra storia della genetica [5], dovreste ricordare che le caratteristiche di un organismo, come la produzione di un particolare pigmento, corrispondono all’azione di uno o più geni ereditati seguendo particolari leggi (con le loro eccezioni), come quelle di Mendel. Per ogni carattere per cui questi geni “codificano” ne esistono varietà dette alleli (per esempio, due diversi colori per fiori o semi) ed essi, ci dicono i genetisti, possono esprimersi o non esprimersi.

I pigmenti possono sovrapporsi fra di loro, come nella tavolozza di un pittore. Immaginiamo per esempio che il sottile pericarpo produca un pizzico di rosso, mentre l’endosperma del giallo in abbondanza, vedremo dei chicchi ambrati.

Come già detto, ogni chicco deriva da un singolo ovario della pianta. Sono geneticamente distinti tra di loro, così come tutti gli ovuli o gli spermatozoi di una persona. Se ci passate il paragone, i chicchi del mais sono tutti un po’ come dei gemelli eterozigoti. E così come due fratelli possono avere occhi o capelli di colore diverso, anche i chicchi di mais possono presentare colorazioni differenti sulla stessa pannocchia.

Ciò spiega il perché negli esempi di sopra abbiamo pannocchie carbone, pannocchie biancastre, pannocchie giallo oro, ma anche pannocchie con chicchi che si alternano: sabbia, bruni, ocra, arancio e così via. Ogni chicco ha i propri geni e i propri alleli, magari è stato anche fecondato da polline di un’altra pianta, così in mezzo a tanti chicchi bruni possono saltar fuori dei biondini.

In tutto quel che abbiamo detto, però, bisogna aggiungere un altro fattore: i cosiddetti “elementi genici trasponibili”

La ricercatrice che scoprì questi elementi è famosissima fra i biologi in generale, ma abbastanza sconosciuta al di fuori dell’ambiente: Barbara McClintok. Ella negli anni ’50, in un’epoca di grande fermento per gli studi di genomica (la struttura del DNA sarebbe stata modellizzata di lì a breve), presso il Carnegie Institute, stava analizzando sui vetrini i cromosomi di un mais particolare: i chicchi non avevano una colorazione uniforme, presentavano chiazze o “spruzzi” di varia pigmentazione in un campo biancastro (o meglio, incolore), oppure il contrario (spruzzi incolore su fondo colorato).

Eccone un esempio, nella varietà di mais Catseye:

Sembrano pietruzze da collanina, vero?

 

Barbara notò che, di generazione in generazione, i cromosomi sembravano variare leggermente di dimensioni, di pari passo con i cambiamenti nelle macchie dei chicchi.
Era sistematico: i “bracci” dei cromosomi variavano in lunghezza quando comparivano le macchie, come se si fosse aggiunto un pezzo, che evidentemente doveva contenere un gene responsabile della “macchia”. Ad ogni generazione, questi frammenti si staccano dalla loro posizione del DNA, come se venissero tagliati da delle forbici, per poi venire ricuciti in altri punti del DNA in cui continuano ad esprimere le loro funzioni.

Barbara chiamò questi geni trasposoni e fu una rivoluzione perché fino a quel momento i genetisti erano ferreamente convinti che i geni permanessero nel cromosoma immobili [6].

Questi spostamenti però non erano arbitrari, ma erano comandati da un altro gene, che la ricercatrice chiamò Ac (per attivatore). Il primo invece lo chiamò Ds (dissociatore), perché occasionalmente poteva andare ad inserirsi nello stesso punto di un altro gene C (colore) disattivandolo.

Barbara McClintock (1902-1992)

Barbara McClintock (1902-1992)

 

Barbara non conosceva ancora la struttura e composizione del DNA, ma i geni sono costituiti da tutta una fila di molecole in sequenza, dette nucleosidi. Ne esistono 4 tipi e le loro combinazioni, un po’ come le lettere dell’alfabeto, possono dare origine a varie “parole” genetiche che corrispondono all’espressione di un carattere (come la produzione di una proteina).

I trasposoni sono in pratica altre parole che si vanno a infilare in mezzo ad una frase, annullandone il senso. Un po’ come se “azzurro” diventasse “azzrossourro”. Quando nel mais della McClintock un gene Ds “trasponeva” (cioè si spostava) all’interno di un gene C, non si produceva alcun colore.


Quando ciò però non accadeva, ecco che il gene poteva esprimersi e produrre il pigmento in quella cellula. Ciò poteva accadere all’inizio dello sviluppo del germe, quando ancora tutto il resto del chicco deve formarsi, ma poteva capitare anche in seguito in una cellula casuale già emersa. La cellula a sua volta si moltiplica, distribuendo il proprio gene in una zona di chicco di cellule figlie ottenute per divisione cellulare da una singola “madre”.

Oppure, se il trasposone si è inserito all’inizio dello sviluppo del germe, mentre il chicco sta ancora crescendo, alcune cellule potrebbero vedere i propri trasposoni saltare ulteriormente da un’altra parte, riattivando la produzione di colore in alcune zone di un chicco pallido.

Ecco spiegata così la presenza di macchie pigmentate nei chicchi.

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Il microscopio utilizzato da Barbara McClintock e alcune delle pannocchie dei suoi studi.

 

Fra le righe è sottinteso che un trasposone potrebbe rimanere e silenziare i geni di un pigmento fin dal principio, impedendo in toto che venga prodotto. Molte varietà di mais variano colore nei chicchi anche perché i trasposoni impediscono che un determinato pigmento venga espresso, per poi magari alla generazione successiva capovolgere tutto. Anche Barbara notò cambiamenti del genere fra le generazioni nelle sue pannocchie.

Silenziando la produzione di tutti i carotenoidi, l’endosperma dovrebbe risultare pallido. A meno che non vengano prodotti flobafeni e antocianine in abbondanza, dando risultati diversi da chicco a chicco.

Se i flobafeni vengono espressi in maniera straripante, sia nell’endosperma che nel pericarpo, mentre il resto viene silenziato, possiamo ottenere prima la varietà Cranberry di mais:

cranberry

Mais cranberry. Sembrano chicchi di melograno.

 

E poi la Kwanza, decisamente scura:

 

Mais kwanza. Questo invece sembra ribes alla liquirizia.

Mais kwanza. Questo invece sembra alla liquirizia.

 

Se l’endosperma produce invece giallo/arancio in abbondanza mentre il pericarpo vi depone sopra dei flobafeni porpora, otterremo la varietà Go-Blue di mais:

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Varietà blu di mais hopi.

Occasionalmente, i trasposoni potrebbero silenziare i geni responsabili della produzione dei flobafeni, facendo tornare semi gialli:

Mais squaw. Quanti di voi prima di leggere questo articolo avrebbero pensato che è strano, guasto o altro?

Mais squaw. Quanti di voi prima di leggere questo articolo avrebbero pensato che è strano, guasto o altro?

 

Il mais sa essere davvero un artista a suo modo e può manifestare contemporaneamente una gamma ampissima di colori, come blu, rosso, viola, rosa, verde… essere traslucido o opaco, brillante o spento, e giocare a fare un po’ l’Arlecchino del regno vegetale.

Questa varietà di granturco di seguito si chiama gemma di vetro (“glass gem corn”) e i chicchi sembrano pezzi di vetro colorato. Questa tipologia di mais è stata ottenuta, dopo un paziente e laborioso lavoro di selezione ed incroci, da un agricoltore americano, Carl Barnes, di origini cherokee [8]:

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Le piante non sono le sole a possedere trasposoni. Anche gli esseri umani ne posseggono [9]. Ed anche i microrganismi, compresi molti patogeni, che sfruttano il “salto di geni” per sfuggire al sistema immunitario e propagare il proprio genoma.
Un esempio classico è Neisseria gonorrhoeae, sgradito ospite delle nostre parti intime. Ma nell’ambito delle biotecnologie, quando si parla di “spostare il DNA”, più che i trasposoni sono noti i plasmidi, come quello di Agrobacterium tumefaciens, che in maniera simile si inseriscono nel DNA e che si usano nell’ingegneria genetica per inserire geni di interesse.

Di questo però parleremo un’altra volta.


Ulteriori approfondimenti:

Anthony J.F. Griffiths et al.Genetica, principi di analisi formale
Walker Wilson – Biochimica e biologia molecolare
Michael J. Simmons – Principi di genetica
Peter J. Russel – Genetica, un approccio molecolare

Note:

[1] IxS – La mela d’orata che ha fondato la gastronomia italiana (http://italiaxlascienza.it/main/2014/08/la-mela-dorata-che-da-oltre-le-colonne-dercole-ha-fondato-la-gastronomia-italiana/)

[2] Dario Bressanini – Carote biodiverse (http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/12/12/carote-biodiverse/)

[3] Il nome viene per l’appunto dalla carota, che deve il suo colore ad essi. A questa classe di pigmenti appartiene anche il beta-carotene (sigla come additivo E160a), da cui deriva l’acido retinoico o vitamina A (essenziale per l’organismo), non di meno importante per la colorazione del mais. O del tuorlo d’uovo. O degli agrumi. O di vari prodotti alimentari. I carotenoidi inoltre vengono utilizzati dalle piante per eseguire la fotosintesi ad un differente spettro luminoso rispetto alla clorofilla (proteggendola anche dai raggi più energetici e dall’ossidazione) e sono quel che rimane quando le foglie ingialliscono o arrossano d’autunno.

[4] per la precisione la zeaxantina è una xantofilla, una sottoclasse dei carotenoidi, di colore giallo-arancio e ugualmente diffusissima come pigmento di mais (da cui prende il nome), uova, frutti e nell’industria alimentare (E161h) e cosmetica.

[5] Minerva – La storia della genetica, parte 1 (http://noidiminerva.wordpress.com/2013/11/08/la-storia-della-genetica-1-mendel-e-leredita-dei-caratteri/)

[6] All’inizio gli studi di Barbara, per quanto impeccabili, non vennero molto accettati, anche perché gli altri laboratori faticavano a riconoscere i cambiamenti nella lunghezza dei cromosomi che l’americana riusciva a notare, ma in pochi anni dovettero ammettere l’esistenza dei trasposoni e a Barbara venne conferito un meritato premio Nobel.

[7] Il mais che troviamo al supermercato è diciamo una “forzatura” genetica, in cui sono stati selezionati chicchi capaci di produrre carotenoidi gialli e nient’altro, per donare una colorazione uniforme. In realtà le varietà multicolour (a parte il glass gem) sono molto più “originali”.

[8] http://www.nativeseeds.org/community/199-the-story-of-glass-gem-corn-beauty-history-and-hope