Cos’è uno psicopatico? Sebbene Hollywood e numerosi romanzi abbiano contribuito a creare un’immagine di tali individui familiare al grande pubblico, la risposta a questa domanda richiede conoscenze approfondite che si svincolino dalla percezione stereotipata dell’argomento. Lungi dall’essere un termine generico usato per indicare una qualunque malattia mentale, la psicopatia, spesso diagnosticata come disturbo antisociale di personalità, è infatti definita da molti esperti come un disordine connotato da peculiari manifestazioni patologiche. Nonostante esistano svariate scuole di pensiero, questi studiosi riferiscono come nello psicopatico siano infatti presenti tre precisi nuclei centrali che ne permettono l’identificazione: il deficit empatico, la cognitività ipertrofica e la presenza della maschera.

In parole povere si può asserire che lo psicopatico sia un individuo privo di alcune emozioni tipiche dell’essere umano, quali la capacità di empatizzare col prossimo, di innamorarsi e di provare genuino affetto verso gli altri. Le persone colpite da questo grave disturbo considerano infatti gli individui come meri oggetti da utilizzare per soddisfare i propri scopi, aspetto reso ancora più inquietante dalla loro totale incapacità di provare ansia, paura,rimorso e stress. Essendo tanto diversi dai loro simili, gli psicopatici tenteranno perciò di sopperire ai loro deficit emozionali enfatizzando le abilità intellettive razionali, al fine di mimare stati d’animo che ne permettano l’integrazione sociale. Se non possono sentire le emozioni, possono infatti almeno fingere di provarle. La loro abilità in questo senso è sconvolgente e le loro capacità attoriali, amplificate dalla presenza di un quoziente intellettivo solitamente molto alto, risultano essere decisamente sopra la media. Una volta compreso come simulare le emozioni, gli psicopatici si costruiranno quindi una maschera emotiva perfettamente funzionante ed in grado di trarre in inganno chiunque. Essi appaiono generalmente come persone affascinanti, brillanti, intelligenti e come ottimi oratori. Sono inoltre dei seduttori nati e non esiteranno ad utilizzare le loro qualità per manipolare gli altri in modo da raggiungere i loro scopi.

Contrariamente a quanto si potrebbe intuitivamente pensare, solo il 40% degli psicopatici commetterà tuttavia azioni criminali. La maggior parte di loro riuscirà a simulare un’integrazione sociale perfetta, tanto da sfruttare le proprie qualità per raggiungere posizioni di potere in ambito lavorativo, conquistate attraverso macchinazioni machiavelliche e intimidazioni subdole verso colleghi e superiori. Essi si presentano quindi come veri e propri predatori intra-specie che, in presenza di inclinazioni sadiche, sono in grado di trasformarsi in serial killer capaci delle più innominabili efferatezze. A rendere ancora più complesso il quadro è la difficoltà nel giungere con sicurezza ad una diagnosi di psicopatia, affidata quasi al solo test “Pychopathy Checklist- Revised” (PCL-R) dello studioso Robert Hare. L’aiuto delle neuroscienze potrebbe tuttavia rivelarsi decisivo per giungere ad una diagnosi più precisa e per conoscere eventuali alterazioni anatomiche e funzionali tipiche del cervello psicopatico.

Numerosi sono infatti gli studi che riguardano questo argomento. Diversi di essi hanno prodotto interessanti risultati, evidenziano ad esempio negli psicopatici una riduzione volumetrica dell’amigdala, una parte del cervello appartenente al sistema limbico coinvolta nel processamento delle emozioni, nella percezione della paura, nell’interazione sociale e nel ragionamento morale. Si pensa pertanto che questa alterazione possa essere correlata con la scarsa capacità degli psicopatici nel provare emozioni come la paura.

Altri studi si sono invece avvalsi della risonanza magnetica funzionale ad alta risoluzione per rilevare ulteriori anomalie. In uno di essi è stata mostrata una riduzione di materia grigia nella corteccia prefrontale e nelle aree del sistema limbico e paralimbico. L’attività della corteccia prefrontale risultava tuttavia aumentata rispetto ai soggetti di controllo, mentre le connessioni nervose tra quest’ultima e il sistema limbico erano molto meno sviluppate. Poiché la corteccia prefrontale è coinvolta nella pianificazione delle funzioni esecutive e nei processi decisionali, è possibile che la minore interazione con le strutture legate all’emotività riscontrata negli psicopatici sia una delle cause della freddezza calcolatrice che caratterizza le loro azioni. Le differenze anatomo-funzionali con i soggetti sani, tuttavia, non si fermano qui.

E’ stato infatti dimostrato che gli individui affetti da psicopatia attivino aree cerebrali diverse dal normale durante il riconoscimento degli stati emotivi dedotti dalla visione di volti umani. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale è stata infatti registrata una bassa attivazione dell’amigdala durante l’analisi delle espressioni facciali, accompagnata da una risposta significativa a carico della corteccia prefrontale. Queste alterazioni potrebbero lasciare intendere che l’incapacità degli psicopatici nel decifrare il significato emotivo delle espressioni legate alla paura nei volti altrui possa essere ricondotta a cause organiche e che queste ultime possano determinare l’assenza di pietà propria delle azioni efferate condotte da tali individui.

Un altro studio sembrerebbe confermare questa tesi. Durante la proiezione di immagini che mostravano individui coinvolti in eventi fisicamente dolorosi, è stato chiesto ad individui psicopatici di immaginare sé stessi come vittime di quegli eventi e successivamente di reagire nel caso in cui questi ultimi interessassero altri individui. Nel primo caso i soggetti malati mostravano una regolare attivazione delle aree cerebrali coinvolte nell’empatia verso il dolore, come l’amigdala destra, l’insula anteriore, la corteccia anteriore del cingolo e la corteccia somatosensoriale. Nel secondo caso la risposta era invece estremamente ridotta, lasciando intuire che gli psicopatici riescano a reagire normalmente se gli stimoli dolorosi colpiscono loro stessi ma non gli altri. In quest’ultimo caso si assiste infatti ad un evento sorprendente: l’attivazione dello striato ventrale. Quest’area è legata al piacere e il fatto che si attivi durante la manifestazione del dolore negli altri, potrebbe significare che lo psicopatico tragga soddisfazione da simili eventi.

Questi risultati mostrano quindi nel complesso come la psicopatia sia assimilabile alla presenza di specifiche alterazioni anatomiche e funzionali a carico del cervello e che la loro conoscenza potrebbe un giorno consentire di progettare azioni terapeutiche specifiche che permettano di contrastare e prevenire la violenza tipica di questi individui. Il sogno di debellare o almeno identificare accuratamente questa patologia, potrebbe dunque trasformarsi presto in realtà . [VF]
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Fonti:

-Hervey M. Cleckley; “The Mask of Sanity”, 1941;
-Robert D. Hare; “La psicopatia. Valutazione diagnostica e ricerca empirica” Ed.Astrolabio ,2009;
-Robert D. Hare: “Snakes in suits: When psychopaths go to work”, 2006
-Robert D. Hare; “Psychopathy as a Risk Factor for Violence” Psychiatric Quarterly, 1999
-Oren Contreras Rodriguez et al; “Functional Connectivity Bias in the Prefrontal Cortex of Psychopaths”; Biological Psychiatry, 2015;
-Yaling Yang et al; “Localization of Deformations Within the Amygdala in Individuals With Psychopathy”; Arch Gen Psychiatry, 2013
-Oren Contreras Rodriguez et al; “Disrupted neural processing of emotional faces in psychopathy”; Oxford Journals, 2013
-Jean Decety et al; “An fMRI study of affective perspective taking in individuals with psychopathy: imagining another in pain does not evoke empathy”; Frontiers in Human Neuroscience, 2013