Uno studio psicologico ha per la prima volta correlato gli effetti benefici sulla memoria del sonno al grado di attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico

 

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Non è una novità che dormire migliori la capacità di ricordare. L’idea è stata sostenuta a lungo prima dai filosofi, quindi da medici e biologi che sono riusciti a provarne la validità. Ma è sempre sfuggita ai tentativi di individuarla la caratteristica specifica del sonno che lo rende un buon sonno per la memoria. Vari esperimenti hanno provato a correlare la capacità di ricordo alla quantità di sonno REM (quello caratterizzato da rapidi movimenti degli occhi sotto le palpebre chiuse e dai sogni) oppure al non REM (NREM). Mentre altri hanno cercato una correlazione con caratteristiche più specifiche delle due fasi, misurate tramite elettroencefalogramma.

Tuttavia recenti revisioni sistematiche di questi lavori ne hanno messo in dubbio la validità anche dove le prime analisi statistiche sembravano mostrare un risultato.

Dal momento che l’attività del sistema nervoso autonomo (SNA) è fortemente legata alla capacità di memorizzare nelle persone sveglie, Lauren N. Whitehurst e colleghi, delle università di California (USA) e Padova (Italia), in collaborazione con il Salk Institute for Biological Studies, La Jolla (USA), hanno pensato di verificare l’effetto sulla memoria di questa parte del sistema nervoso su persone addormentate.

Come dice il suo nome il SNA agisce indipendentemente dalla volontà di una persona. È suddiviso grosso modo in due sottosistemi: il sistema simpatico media la reazione che i biologi definiscono “attacca o scappa” e mette l’organismo in condizione di reagire a un pericolo o a una situazione di stress. Il sistema parasimpatico, d’altra parte, media la reazione detta “riposati e digerisci” favorendo il funzionamento degli organi interni del corpo e un rallentamento del battito del cuore.

Proprio grazie a questo effetto gli autori dello studio sono stati in grado di misurare l’attività del sistema parasimpatico, mentre dormivano, nei loro soggetti sperimentali (81 individui sani e non fumatori senza precedenti di malattie mentali o insonnia).

Il protocollo sperimentale prevedeva per tutti i soggetti una prima prova per misurare la capacità di ricordare e la risoluzione di altri problemi. In seguito una parte dei soggetti restava sveglia guardando, da coricata, un documentario naturalistico. Una parte dormiva per 90 minuti, ma veniva svegliata per impedirle di entrare in sonno REM. Una parte veniva lasciata dormire indisturbata.

I test effettuati dopo il periodo di riposo o trascorso addormentati dimostravano un netto miglioramento della memoria nei soggetti che avevano dormito, ancora più pronunciato in chi aveva sperimentato il sonno REM.

Ma un dato ancora più interessante è emerso correlando i miglioramenti con il livello di attività del sistema parasimpatico nei soggetti che avevano dormito. Con alcune piccole variazioni legate ad alcune varianti sperimentali introdotte dai ricercatori, la stragrande maggioranza delle differenze osservate nelle capacità mnemoniche di chi aveva e non aveva dormito erano giustificabili in base al grado di attivazione del parasimpatico.

Non basta dormire, per rafforzare i ricordi bisogna dormire bene, sereni, senza preoccupazioni e facendo bei sogni. [DP]

BIBLIOGRAFIA

Whitehurst LN, Cellini N, McDevitt EA, Duggan KA, Mednick SC. 
Autonomic activity during sleep predicts memory consolidation in humans. 
Proc Natl Acad Sci U S A. 2016 Jun 13. pii: 201518202. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 27298366.