Le modificazioni epigenetiche rilevate alla nascita nei bambini figli di madri fumatrici sono ancora presenti 3-5 anni dopo il primo test, al punto che nell’81% dei casi è possibile indovinare se la madre ha fumato in gravidanza basandosi solo sulle analisi del sangue del figlio.

Fumare in gravidanza, oppure tollerare che qualcun altro le fumi vicino, non è di sicuro una buona idea per una madre in attesa. Vari studi medici hanno dimostrato che l’esposizione al fumo di tabacco è correlata tanto a problemi di salute nella madre, come per esempio gravidanze ectopiche, distacco della placenta, placenta previa e rottura prematura delle acque, quanto a problemi per il feto come minor peso alla nascita, aumento delle malformazioni e minori dimensioni del cervello.
Ma le conseguenze negative dell’esposizione di un feto al tabacco in utero sembrano essere destinate a segnare molto più a lungo la sua salute: vari studi avevano in precedenza dimostrato come i bambini figli di fumatrici (o di madri esposte pesantemente a fumo passivo) mostrassero al momento della nascita chiari e prevedibili segni di modificazioni epigenetiche; cioè di qui piccoli cambiamenti chimici che, pur non cambiando i geni, alterano la loro capacità di regolare il funzionamento delle cellule.
Recentemente Christine Ladd-Acosta della Johns Hopkins School of Medicine, insieme a colleghi di altre università statunitensi, ha pensato di riesaminare a distanza di 3-5 anni un sottogruppo di bambini che erano stati inclusi, appena dopo la nascita, a uno degli studi precedenti. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Environmental Research.
Per iniziare i ricercatori hanno svolto un ampio lavoro di scrematura statistica; sono così riusciti a eliminare possibili ulteriori variabili come l’età, la razza e l’area geografica di provenienza dei genitori, nonché il sesso dei bambini o l’esposizione ad altre sostanze chimiche come alcool o farmaci. I 572 bambini ritenuti idonei sono stati riconvocati e sottoposti a un prelievo di sangue per ricavare il loro profilo epigenetico, relativamente al gruppo di geni per cui era stata evidenziata una differenza nello studio precedente. Anche se meno pronunciate, le differenze epigenetiche erano ancora chiaramente rilevabili, tanto che il solo esame del sangue dei bambini era sufficiente a stabilire, con buona approssimazione, se la madre era stata esposta, in modo attivo o passivo, al tabacco durante la gravidanza. Anche l’attenuazione dei segni lasciati dall’esposizione al fumo non può essere classificata con sicurezza come positiva: se da un lato può indicare la progressiva capacità dell’organismo di liberarsi dall’influenza del tabacco, dall’altro alcune madri classificate come non fumatrici in gravidanza, hanno interrotto l’assunzione di sigarette solo durante la gestazione, per ricominciare dopo il parto: alcuni bambini classificati come non esposti possono aver sviluppato i marcatori tipici dopo la nascita.
La permanenza a lungo termine di alterazioni epigenetiche come quelle già evidenziate, insieme ad altre ancora da scoprire, possono essere la base biologica che spiega i risultati sempre più numerosi di studi che associano l’esposizione fetale al fumo con disturbi nell’età adulta; tra i quali malattie renali e ipertensione, malattie polmonari, malattie gastrointestinali, obesità.

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Christine Ladd-Acosta, Chang Shu, Brian K. Lee, Nicole GidayA, Alison SingerLaura A. Schieve, Diana E. Schendel , Nicole Jones , Julie L. Daniels , Gayle C. Windham ,Craig J. Newschaffer , Lisa A. Croen , Andrew P. Feinberg , M. Daniele Fallin
Presence of an epigenetic signature of prenatal cigarette smoke
exposure in childhood
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