L’era genomica, iniziata nel 2001 con il completamento del sequenziamento del genoma umano, ha aperto nuove strade alla ricerca sulla storia evolutiva degli organismi. Il campo della genomica da allora ha visto avanzamenti tecnici continui, e nel 2010 si è riusciti ad ottenere una prima “bozza” (poi migliorata) del genoma dell’Homo Neanderthalensis, una specie umana estinta vissuta tra i 200.000 e i 40.000 anni fa. Nel 2010 inoltre si aggiunge un nuovo “parente” al nostro albero evolutivo, con la scoperta dell’Homo di Denisova, vissuto tra i 70.000 e i 40.000 anni fa.

Cosa ci dice la genomica riguardo questi nostri parenti evolutivi? Grazie ad essa si è scoperto che, in seguito a ibridazioni tra specie umane, l’1-4% del genoma delle popolazioni euroasiatiche deriva dai Neandertal, mentre sono assenti sequenze neandertaliane in popolazioni dell’Africa sub-sahariana. Nelle popolazioni melanesiane, invece, ci sarebbe un 4-6% di genoma derivato dai Denisova.

Un nuovo articolo, pubblicato nella rivista ‘Cell’, getta ora nuova luce sugli effetti delle sequenze neandertaliane nelle popolazioni umane in cui sono presenti. Servendosi di enormi moli di dati genetici, gli autori hanno esaminato il livello di espressione in 52 organi e tessuti dell’allele neandertaliano rispetto a quello moderno in individui eterozigoti, cioè che per un dato gene hanno una versione arcaica e una moderna. [1]

Da McCoy et al. (2017)

I risultati ottenuti indicano che, mediando i dati tra tutti i tessuti, l’allele arcaico è sottoposto a regolazione positiva nel 49.8% dei casi e a regolazione negativa (o sottoregolazione) nel 50.2% rispetto all’allele moderno [2], contribuendo alla differenziazione di alcuni fenotipi – come la statura e la dimensione della papilla ottica, una parte del nervo ottico, – in alcuni casi anche legati a disordini e patologie – tra cui schizofrenia, lupus, e fibrosi cistica. Per quanto riguarda differenze specifiche per tessuto/organo, invece, è stata riscontrata una marcata sottoregolazione nei testicoli e nel cervello, in particolare il cervelletto e i gangli della base.

Lo studio ha quindi evidenziato che gli alleli neandertaliani non sono resti silenti di un’eredità antica, ma influiscono sull’espressione genica e contribuiscono alla diversità dei fenotipi umani, incluse condizioni patologiche.

 

 

 

NOTE:

  1. Per ogni gene abbiamo due copie, ereditate dal padre e dalla madre; le varianti che queste copie possono assumere sono dette “alleli” di un gene.
  2. Per regolazione positiva e negativa si intende la quantità di mRNA e quindi di proteina prodotta da un gene, che può essere quindi aumentata o ridotta.

Fonte:

McCoy et al. (2017). Impacts of Neanderthal-Introgressed Sequences on the Landscape of Human Gene Expression. Cell 168: 916-927.