Ergot (in francese “sperone”) è il nome comune dato al fungo Claviceps purpurea, parassita di circa 400 specie vegetali appartenenti alla famiglia delle graminacee, in particolare della segale. Questo fungo si caratterizza per la formazione di strutture (gli sclerozi) simili a cornetti che conferiscono alla pianta infetta il nome di “segale cornuta“.

Attorno all’anno 1.000 sulle Dolomiti e lungo tutto l’arco alpino si raccoglieva segale per vivere; il grano dell’epoca non riusciva a crescere in quota e quello nero tedesco era il pane quotidiano dei montanari. A quel tempo non si sapeva, ma la segale usata per produrre il pane era spesso contaminata da Claviceps purpurea. Il fungo produce delle sostanze (alcaloidi) psicoattive derivate dall’acido lisergico e strutturalmente omologhe all’LSD; esse vengono sintetizzate dal fungo per evitare che d’inverno gli animali mangino lo sclerozio, una struttura fondamentale per la sopravvivenza del fungo stesso.

Gli alcaloidi assunti in dosi acute causano visioni, delirio e violenti fenomeni psichedelici nei mammiferi; buona parte della letteratura storiografica dell’Alto e Basso Medioevo sulle follie collettive e demoniache di interi villaggi (specie in Francia, Germania ed Olanda ma anche in seguito in America settentrionale) ha la sua causa scientifica in panificazioni operate con farine fortemente contaminate da Claviceps purpurea.

Corpo fruttifero di C. purpurea all’interno di una spiga si segale (Di Rasbak – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=295119)

Invece, se assunti in forma cronica all’interno di farine leggermente inquinate, gli alcaloidi della segale cornuta determinano uno stato di intossicazione, detto ergotismo, caratterizzato da una progressiva degradazione del sistema circolatorio periferico che provoca spasmi dolorosi, crisi convulsive e talvolta anche forme di cancrena. Nel contesto culturale dell’epoca queste manifestazioni erano interpretate come la punizione divina per i peccati commessi.

Ai tempi delle Crociate, le reliquie di Sant’Antonio Abate furono traslate da Costantinopoli a Motte-Saint-Didier (attuale Saint-Antoine-l’Abbaye, vicino a Vienne in Francia); la devozione principale per il santo riguardava la guarigione dal cosiddetto “Fuoco di Sant’Antonio”. Nello sconforto, nel dolore fisico e nel terrore derivato da una malattia inspiegabile, gli abitanti delle montagne si aggrappavano alla Chiesa. I montanari intraprendevano un pellegrinaggio che diveniva una vera e propria epopea di settimane: a piedi o a dorso di mulo giungevano in Francia, lasciando i campi montani ed investendo i pochi risparmi.

Il numero dei malati che ricorrevano al santo taumaturgo era così elevato che si costruirono apposite strutture di accoglienza e venne impegnato l’ordine degli Antoniani per l’assistenza e la cura dei pellegrini. Tuttavia durante i giorni di cammino per giungere a Motte-Saint-Didier, la dieta dei pellegrini cambiava poiché in pianura iniziavano a nutrirsi di pane bianco, non più contaminato dal fungo. Il cambio di dieta continuava per tutti i giorni di permanenza e questo permetteva una graduale detossificazione dell’organismo; così i sintomi recedevano, le cancrene guarivano ed i dolori sparivano. Il Santo aveva compiuto il miracolo! In più, il potere taumaturgico della visita alla basilica ed alle reliquie di Sant’Antonio era rinforzato dalla conseguenza del ritorno ai pascoli in quota: la dieta era di nuovo ricca di pane nero contaminato e la malattia si manifestava ancora. La lontananza dalla Retta Via e la ricaduta nel peccato tornavano ad essere divinamente punite!

Così l’ergotismo prese il nome di “Fuoco di Sant’Antonio” e la Basilica del Santo deve buona parte della sua fama ad un fungo, ad un cereale ed alla scarsa conoscenza della loro relazione.

N.B.: Oggi con il nome “Fuoco di S. Antonio” si intende la riattivazione del virus della varicella (HZV) che colpisce un nervo e si manifesta con fenomeni cutanei localizzati lungo il decorso del nervo stesso. Compaiono gruppi di vescicole, simili a quelle della varicella, accompagnate da dolore vivo e alterata sensibilità.

Di A.A.

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