Una modificazione degli enzimi coinvolti nella sintesi della lignina rende possibile un considerevole aumento nella resa del bioetanolo prodotto a partire dai comuni pioppi.

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Una delle alternative più promettenti ai combustibili fossili è il bioetanolo, il comune alcool etilico presente nel vino e nella birra, ricavato dalla fermentazione dai composti zuccherini presenti in varie piante. Responsabile della fermentazione è il lievito microscopico Saccharomyces cerevisiae, quello impiegato già da millenni tanto della lievitazione del pane che nella produzione di bevande alcoliche. Uno dei problemi di questo approccio è che le parti delle piante più ricche di questi zuccheri sono quelle usate a scopo alimentare, con il rischio di mettere nutrizione e carburanti in conflitto per la propria realizzazione.

Oggi, la piccola quantità di bioetanolo utilizzato per alimentare i motori è prodotta dalla fermentazione della parte commestibile di piante coltivate. Inoltre questo carburante ha un prezzo economicamente competitivo solo grazie a incentivi e sgravi fiscali messi in atto da alcuni governi nella speranza di creare un parco di veicoli già adatti all’uso di questo combustibile per il momento in cui si dovesse trovare il modo di produrlo a costi limitati.

Una ricca fonte di materiale di partenza per la produzione di bioetanolo, la cellulosa, è presente nelle parti delle piante agricole non utili alimentarmente, oppure in quelle legnose coltivate per scopi differenti dall’alimentazione: come l’industria della carta o gli scarti di falegnameria. Il problema con questi prodotti vegetali è la difficoltà di separare, a costi ragionevoli, la cellulosa presente nella pianta dall’altra sostanza che contengono in grandi quantità: la lignina.

La lignina è un composto chimico fibroso che conferisce alle piante la resistenza meccanica per crescere in altezza e sopportare sollecitazioni meccaniche, come per esempio quelle prodotte dall’esposizione a forti venti. La lignina è estremamente difficile da separare dal resto del tessuto vegetale, sia meccanicamente che chimicamente, e in più allo stato attuale non ha nessun utilizzo economicamente interessate, salvo essere bruciata per produrre calore ed energia.

Il problema di produrre tessuti vegetali da cui fosse facile estrarre cellulosa ha intrigato varie volte i biologi; ma le piante geneticamente modificate per produrre meno lignina, o una lignina più facile da trattare, hanno sempre dimostrato un’estrema fragilità al di fuori dell’ambiente protetto di una serra e non sono praticamente utilizzabili per coltivazioni su vasta scala.

Yuanheng Cai dei Brookhaven National Laboratory (New York USA), in collaborazione con colleghi di altre università statunitensi, ha provato a sperimentare varie modificazioni genetiche sugli enzimi coinvolti nelle varie fasi della produzione di lignina, in piante ad alto contenuto di questa sostanza. Con una certa sorpresa si sono accorti che una versione delle loro piante, che produceva un tipo di lignina più coriacea e resistente ai trattamenti chimici, era in grado di fornire una quantità maggiore tanto di cellulosa grezza che di etanolo.

La ricerca ed i suoi esiti inaspettati si sono guadagnati un posto sulla rivista Nature Communications.

Non è affatto chiaro come questo apparente paradosso possa realizzarsi, i ricercatori ipotizzano che la lignina modificata si leghi meno strettamente alla cellulosa o costituisca una barriera meno efficace per gli enzimi digestivi che la trasformano. Sono necessarie altre ricerche.

Ma questa storia dimostra ancora una volta che le osservazioni interessanti, e che portano potenzialmente guadagno, non sempre sono dove ci si aspetta di trovarle. Bisogna diffidare di chi pretende di finanziare solo la scienza che sembra promettere un ritorno immediato in base a calcoli puramente economici.

BIBLIOGRAFIA

Cai, Y. et al.

Enhancing digestibility and ethanol yield of Populus wood via expression of an engineered monolignol 4-O-methyltransferase.

Nat. Commun. 7:11989 doi: 10.1038/ncomms11989 (2016).