L’efficacia del comune vaccino antinfluenzale può essere prevista sulla base del numero, del tipo e dello stato di attivazione di varie cellule immunitarie presenti nel sangue prima o immediatamente dopo la vaccinazione.3D_Influenza_virus

A qualcuno sarà capitato di fare il vaccino contro la comune influenza e poi ammalarsi comunque. Un argomento a volte sfruttato da chi sostiene l’inefficacia dei vaccini. In realtà ci sono varie ragioni di tipo medico per cui una situazione di questo tipo si può verificare: la più banale è che le difese immunitarie, in seguito alla vaccinazione, non raggiungono immediatamente il loro massimo e possono servire fino a due settimane per sviluppare una protezione completa. Un altro motivo deriva dal fatto che il virus influenzale è ricoperto da proteine che mutano rapidamente, rendendo necessaria una nuova vaccinazione ad ogni nuovo inverno. Il vaccino è quindi preparato in base alla previsione di come il virus influenzale muterà, in modo simile a come i meteorologi prevedono il tempo per i giorni successivi. Queste previsioni sono svolte su base statistica e, per quanto accurate, sicuramente non sono infallibili.

Una terza possibile causa è stata di recente scoperta da Richard B. Kennedy e dalla sua equipe, operante presso la prestigiosa Mayo Clinic, e pubblicata sulla rivista Immunology.

Per quanto possa sembrare banale da dire, non tutti gli individui sono uguali; nello stesso modo in cui non sono uguali i loro sistemi immunitari. La produzione di anticorpi, e di cellule in grado di distruggere specificamente un organismo invasore, è solo l’ultimo passo di un processo che ne prevede la cattura e l’analisi. Una procedura in cui ogni singolo passo è svolto da cellule di tipo differente che devono coordinarsi e collaborare in modo efficiente per arrivare al risultato finale.

Quando un virus o un batterio restano uguali per lungo tempo, prima o poi, per strade differenti, quasi tutti i sistemi immunitari trovano il modo di neutralizzarlo. Ma nel caso di un avversario sfuggente come il virus influenzale le differenze tra diversi individui fanno la differenza, cosicché alcune persone si ritrovano più esposte, anche dopo essere state vaccinate.

Kennedy e colleghi hanno reclutato 159 volontari, tra cui 98 donne e 61 uomini, sani e di età compresa tra i 50 e 74 anni tra coloro che si sono sottoposti a vaccinazione anti-influenzale nell’inverno 2010-2011. Da volontari sono stati prelevati campioni di sangue immediatamente prima della vaccinazione e quindi a distanza di 3 e 28 giorni. I campioni sono stati poi analizzati per stabilire la concentrazione, il tipo e l’attività di vari tipi di cellule del sistema immunitario; insieme alla quantità e all’efficacia degli anticorpi contro il virus in essi presenti.

Anche se la maggior parte dei valori si sono mantenuti simili in tutti i soggetti dell’esperimento, alcune variazioni dei valori si sono dimostrate molto predittive per stabilire se il vaccino avrebbe prodotto una protezione ottimale. Inoltre fra le donne la vaccinazione si è dimostrata altamente efficace in un numero di casi nettamente superiore di quelli osservati fra gli uomini, anche fra i soggetti di età più avanzata; un ulteriore fattore di protezione legato al sesso, al di la di quelli già ampiamente noti, che può spiegare la maggior speranza di vita media propria delle donne.

Il passo successivo della ricerca è comprendere la catena di eventi che dalle differenze iniziali porta ai diversi esiti nell’efficacia del trattamento vaccinale, in modo da arrivare alla conoscenza necessaria per creare trattamenti su misura per le esigenze di ogni paziente [DP].

BIBLIOGRAFIA

Kennedy RB, Simon WL, Gibson MJ, Goergen KM, Grill DE, Oberg AL, Poland GA.
The composition of immune cells serves as a predictor of adaptive immunity in a cohort of 50- to 74-year-old adults. 
Immunology. 2016 May 17. doi:10.1111/imm.12599. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 27188667.