La sorprendente risposta è sì: le piante hanno una memoria e anche piuttosto lunga!

Avrete sentito parlare della Mimosa pudica, una graziosa piantina che spopola sul web poiché in risposta agli stimoli esterni, ad esempio quando viene toccata, richiude prontamente le sue foglioline. Questo video è un buon esempio:

Le piante crescono, si riproducono, cacciano e si difendono dai predatori esattamente come qualsiasi altro essere vivente, ma i loro movimenti sono di regola molto lenti, tanto da sembrare praticamente statiche ai nostri occhi. La mimosa pudica rappresenta una delle eccezioni, poiché la vediamo effettivamente muoversi e reagire nell’immediato agli stimoli a cui viene sottoposta. Proprio questa sua caratteristica ha permesso agli scienziati di giungere a importanti conclusioni circa la capacità delle piante di “ricordare”.

In un esperimento, alcune piantine di mimosa pudica cresciute in vasetti sono state sottoposte a ripetute cadute da un’altezza di circa 10 centimetri. Per le prime 7 o 8 ripetizioni le piante hanno reagito allo stimolo, ossia la caduta, chiudendo le foglioline: dopodiché hanno iniziato a non chiuderle più. In passato si è cercato di spiegare questo tipo di fenomeno attribuendolo ad una “stanchezza” della pianta. In realtà, se sottoposte ad uno stimolo diverso, come uno scuotimento in orizzontale anziché una caduta, le piantine di mimosa pudica ricominciano a chiudere le foglie.

L’unica spiegazione è che queste “ricordino” e classifichino la caduta da pochi centimetri come non pericolosa. Ma sono tutt’altro che stanche: rimangono anzi vigili e perfettamente in grado di riconoscere e reagire a uno stimolo diverso e sconosciuto. Ancora più stupefacente è stato poi constatare che le piantine avevano conservato il ricordo della caduta per circa 40 giorni. È un risultato importante, che surclassa la memoria corta di molti insetti per avvicinarsi invece agli standard di diversi animali superiori!

Nel caso della mimosa pudica la nostra percezione della memoria vegetale è immediata, ma numerose altre evidenze sperimentali, anche da specie diverse, ne avvalorano l’esistenza. È proprio grazie a questi meccanismi, ad esempio, che una pianta “ricorda” l’esatto momento dell’anno in cui fiorire o perfeziona la sua risposta ad uno stress ambientale dopo esservi stata ripetutamente esposta.

Forse parlare di memoria e ricordi per una pianta ci crea imbarazzo perché questi esseri non hanno un vero e proprio organo deputato equivalente al nostro cervello. I meccanismi non sono ancora chiari e qualcuno ha avanzato l’ipotesi che alla base vi sarebbero i cosiddetti prioni: sono proteine la cui catena è avvolta in maniera scorretta e che propagano questa loro malformazione a tutte le proteine vicine. Nei lieviti la capacità di contaminazione dei prioni è considerata un modo alternativo di codificare e trasmettere un’informazione, producendo varianti proteiche autoreplicanti che tengano traccia della loro esposizione passata a stimoli ambientali. Le piante potrebbero utilizzare lo stesso meccanismo. La presenza di proteine potenzialmente prioniche nel genoma di Arabidopsis thaliana, una pianta modello per diversi studi sulla fisiologia vegetale, e la loro associazione con i processi che mediano la fioritura sembrerebbero corroborare questa tesi.

Propagazione dei prioni

Il funzionamento della memoria rimane per molti aspetti oscuro anche negli animali ed è senz’altro un campo di grande fascino e potenziali applicazioni tecnologiche.

Erika Salvatori

Riferimenti:

  • Shorter, J. and Lindquist, S. Prions as adaptive conduits of memory and inheritance (2005). Nature Reviews Genetics 6, 435-450
  • Stefano Mancuso “Plant revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro” (2017)